05 settembre 2006

Stanca di guerra - in scena Lella Costa

Lella Costa porta nuovamente in scena alla Festa dell'Unità di MIlano "Stanca di Guerra", spettacolo scritto di Lella Costa, Alessandro Baricco, Massimo Cirri, Sergio Ferrentino, Piergiorgio Paterlini, Bruno Agostini.

E' un monologo splendido, che oscilla fra l'umorismo e la commozione. Da non perdere assolutamente:

giovedì 14 settembre
Festa dell'Unità, Milano
Fermata MM1 Lampugnano
ore 21:30 ingresso gratuito



E io che faccia faccio? Che faccia si può fare o forse che faccia si deve fare quando si prova ad affrontare un argomento così grande e terribile come la guerra? Che poi non si sa neanche bene dove, come, quando, perché sia cominciata. No, non è vero, in realtà questo un po’ si sa. Anzi, forse all’inizio è stata anche una faccenda relativamente semplice, una roba tipo: "Tu hai la caverna più calda, la donna più pelosa, la ruota più rotonda. Io ho la clava più grossa".
E felicemente ignara della simbologia: "Te la spacco sulla testa, così mi prendo quello che mi piace". Rozzo, ma mica poi tanto. Forse il significato vero, l’essenza della guerra sta proprio tutto qui, visto che alcuni millenni dopo un teorico della guerra, un signore che si chiamava von Clausewitz – nella sua vita si è occupato solo e soltanto di guerra, ha scritto un unico libro intitolato Della guerra, un maniaco –, ha definito la guerra "un atto di violenza attraverso il quale costringiamo il nemico a fare la nostra volontà"; quindi colpi di armi sempre più precise, letali, raffinate.




-La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari-


Oh, non è mica una barzelletta e neanche una battutazza che mi sono inventata io: è una frase di Talleyrand.


Fare il militare è un obbligo; la naja, un'esperienza se va bene inutile, se va male devastante; i militari di carriera, un mondo a parte, incomprensibile, con forti sospetti di inutilità.


Il contrario di militare è il civile, ma anche il borghese. Questo deve avergli complicato terribilmente la vita. Non capiscono che società civile e società borghese non coincidono (anni fa, nel corso di grandi manifestazioni di piazza furono immediatamente identificati degli infiltrati dell'esercito che gridavano "Lo stato civile si abbatte e non si cambia", seminando il panico tra gli impiegati dell'anagrafe), ma questa confusione non basta a spiegare, e tantomeno a giustificare, il vero scandalo, la vera atrocità della guerra contemporanea: le vittime civili. Le donne i vecchi i bambini. Le persone, insomma.


Intendiamoci, non è una novità che a lasciarci le penne siano i civili. La guerra antica, la Madre di tutte le guerre, è fatta di saccheggi e stupri e stragi degli innocenti. Però era prima. Prima che l'occidente si presentasse come paladino della civiltà, protettore dei deboli, portatore di benessere, alfiere di giustizia.


Solo che poi vai a leggere i bollettini stilati, metti, da un premio Nobel, e scopri che nella prima Guerra mondiale i morti furono per il 5% civili, per il 95% militari. Insomma si poteva ancora sostenere che i civili erano morti incidentalmente.


Nella seconda, 48% civili e 52% militari - non si poteva più sostenere che i civili fossero morti incidentalmente.


Nelle guerre contemporanee (una a caso, della quale scopriamo l'esistenza giusto perché un calciatore famoso deve andarci a giocare, e vorremo mica correre dei rischi seri), il 10% sono militari, il 90% civili.


Si può ormai sostenere che sono i militari quelli che muoiono incidentalmente...


Come dire... Prima le donne e i bambini...


Chissà che facci fanno quando salgono sui loro aerei con le loro belle divise e vanno a fare dei giri sopra un pezzo di mondo e cominciano a sganciare degli strani fiori metallici, anche belli in un certo senso, che dopo qualche centinaio di metri si aprono, e ne escono tanti oggetti più piccoli, graziosi manufatti che assomigliano in modo ammirevole a delle pietre, dei ciottoli di fiume - ah! La natura, quanti insegnamenti... - e più in alto voli e più ampio è il raggio in cui si depositeranno, e più sarà facile smemorarsene, e neanche tanto colpevole, in fondo, sono andati, si pianteranno nel terreno, perfettamente mimetizzati, innocui, quasi amichevoli; e altri addirittura hanno forma di giocattolo, perché così succederà sicuramente che un bambino lo noterà, lo raccoglierà, lo guarderà per quanti secondi, tre, quattro, dieci.


Gli ultimi secondi della sua vita.


O forse no, saranno l'inizio di un'altra vita, di un surrogato di vita, di una vita scaduta, avariata, una vita senza gli occhi, senza le gambe, senza le mani.


E se va bene incontrerà un chirurgo che viene dall'altro mondo, che forse per espiare le colpe di quel suo mondo ha deciso di andare in giro a ricucire pezzo di bambini... Ma una volta ci ha portato la sua, di bambina, in un ospedale senza l'acqua e senza la luce elettrica, e per spiegarle l'ha portata a vedere, e lei ha capito.


Ha guardato e ha capito.


Per sempre.


Ha capito che la guerra è troppo grande e furba per riuscire a sconfiggerla, ma che questo, almeno questo, deve finire. Che le mine antiuomo sono il più ignobile strumento di morte, il più vigliacco genocidio della storia del mondo - il nostro mondo, quello che Hernan Cortez, avventuriero e giocatore, si è vinto a bocce cinquecento anni fa. Quel mondo che semina dieci milioni di mine antiuomo - dieci milioni di mine antiuomo - sulla terra di tre milioni di esseri umani - curdi.


Fa tre bombe a testa virgola qualcosa, periodico.


Quel mondo che non condanna nessuno... Chi la mina la progetta, chi la produce, chi la vende, chi la compra chi la sganci. E io voglio sapere una cosa sola: voglio sapere come fanno a dormire.


Come fanno a dormire?


Mi dicano come fanno... Avranno anche loro una sera, un tramonto, uno straccio di ora violetta che gli rovini l'aperitivo. Toccherà anche a loro, la notte, gli cederanno le palpebre, per quanta adrenalina riescano a produrre, nonostante tutta la cocaina con la quale vengano pagati. Ci sarà anche per loro il momento di dormire... E allora io voglio sapere, se Macbeth con Montezuma avesse perso... Se Macbeth ha ucciso il sonno: allora io voglio capire come fanno, loro a dormire, come hanno fatto a vendersi anche i sogni, a spegnere ogni memoria, come fanno a non sentire in ogni attimo della loro esistenza la voce di Ecuba che piange - lei che può almeno piangere.


- Deponete per terra lo scudo rotondo di Ettore...
Ma voi, Achei, il cui vanto sono più le armi che il cervello,
perché vi siete macchiati di un delitto tanto mostruoso?
Avete avuto paura di un bambino?
- Dove sono finiti, bambino i tuoi riccioli che tante volte ti ravvivavo,
e le mani, forti , come quelle di Ettore,
adesso siete qui, davanti a me, inerti, infrante...
E, cara, piccola bocca che facevi grandi promesse:
- nonna, mi taglierò i capelli per te e condurrò una schiera di ragazzi,
tutti i miei amici, quando morirai, a salutarti...
Ma tu mentivi, bambino, non sei tu a seppellire me,
sono io, povera vecchia che non ha più patria, né figli
a seppellire il mio bambino...-


(cadono i vestiti)