16 marzo 2006

Baricco per Torino Capitale del Libro


Per un anno intero Torino e il Piemonte si trasformano in un grande palcoscenico. Dodici mesi di eventi tutti nel segno dell’amore per il libro e la lettura. Cuore del programma di Torino è l’idea che le ha fatto assegnare dall’Unesco il titolo di Capitale Mondiale: Il Linguaggio dei Segni.

Una maratona ininterrotta di 24 ore tra spettacoli, letture e concerti in tutta la città inaugurerà ad aprile l'anno di Torino capitale mondiale del libro.
Una festa pensata dalla Fondazione per il libro, la musica e la cultura e realizzata dal Teatro Stabile di Torino per la regia di Gabriele Vacis, come spiegano in una nota gli organizzatori.

Gli incontri, tutti rigorosamente ad ingresso libero, inizieranno sabato 22 aprile dalle 21 all'Oval, il nuovo palasport creato per le Olimpiadi invernali e andranno avanti fino alle 9 del mattino: una notte intera di letture, poesie, racconti, alla presenza di tanti volti noti, da Alessandro Baricco a Moni Ovadia, Marco Paolini, Luciana Litizzetto, Stefano Benni, Alessandro Bergonzoni, Vinicio Capossela, Michele Serra.

Aggiornamenti, programmi, nomi e dettagli su www.trwbc.it

Baricco e Mozart a teatro - 26 aprile 2006

Teatro Salieri, Legnago (VR)

MOZART GENIO?...
DA VICINO NESSUNO È NORMALE

Progetto di Mario Brunello
Quattro momenti che hanno segnato la vita di Mozart, ma anche quella di musicisti di ogni epoca, raccontati da quattro concerti di Mario Brunello con l’Orchestra d’Archi Italiana e preceduti da quattro incontri con Philippe Daverio, Erri De Luca, Michele Dall’Ongaro, Alessandro Baricco.

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Mercoledì 26 aprile, ore 20.00
A 16 ANNI, GENIUS?

Incontro con ALESSANDRO BARICCO
MARIO BRUNELLO, direttore
Orchestra d’archi italiana
W. A. Mozart, QUINTETTO IN SI BEMOLLE KV 174
(vers. per orch. d’archi)
G. Mahler, QUARTETTO PER ARCHI E PIANOFORTE IN LA MINORE
(vers. per orch. d’archi)
F. Mendelssohn, OTTETTO OP.20
(vers. per orch. d’archi)

Per maggiori info e prenotazione:
http://www.teatrosalieri.it
cliccando su "Stagione 2005/2006" e poi "Musica"

07 marzo 2006

Alessandro Baricco: da una storia all'altra

Ha un pubblico di fans e di fedelissimi che sa incantare, proprio come faceva con il pubblico televisivo: attraverso l’abilità di raccontare, con la voce e la gestualità, con l’uso della stessa sapienza tecnica e dell’attenzione ai dettagli che applica ad ogni suo lavoro. L’incontro che abbiamo registrato e che proponiamo è quello in cui, a dicembre 2005, presentò alla Fiera della piccola e media editoria di Roma il suo ultimo romanzo, “Questa storia”, incentrato sul mito delle corse automobilistiche, all’inizio del secolo scorso. In realtà la presentazione del libro veniva affidata a un video suggestivo prodotto dalla Fandango libri, l’ennesima ricerca di forme nuove di promozione e diffusione del libro. Il resto dell’incontro col pubblico era servito a illustrare i motivi della scelta del passaggio da una grande casa editrice, la Rcs, a una molto più piccola, la Fandango, nuovo ramo letterario di una forte casa di produzione cinematografica.
Quattro mesi dopo, Alessandro Baricco, a partire dalle punture di spillo di alcuni critici letterari, ha sfidato apertamente gli usi e i costumi della critica, aprendo sulle pagine di Repubblica un dibattito sul rapporto tra libri e informazione. A modo suo, cominciando con “Questo è un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo.” Tecnica sicura, collaudata, ad effetto, adatta a suscitare reazioni, a creare risposte, ad allargare i cerchi dell’acqua stagnante. Fino alle prossime trovate.

Luciano Minerva - Rainews 24

Intervista video a Baricco


Intervista video a Baricco sul sito di rainews24, realizzata con il montaggio del dvd di Guido Chiesa e degli interventi dello scrittore a Radio Tre Suite e alla Fiera della piccola e media editoria a Roma lo scorso novembre:

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01 marzo 2006

Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura

Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura
di ALESSANDRO BARICCO

Questo è un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. La scorsa settimana, su queste pagine, esce un articolo di Pietro Citati. Racconta quanto lo ha deliziato mettersi davanti al televisore e vedere i pattinatori-ballerini delle Olimpiadi. Lo deliziava a tal punto - scrive - che "dimenticavo tutto: le noie, le mediocrità, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino "l'Iliade" di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusità dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio". Io ero lì, innocente, che mi leggevo con piacere l'esercizio di stile sull'argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata. Va be', dico. E, giusto per mite rivalsa, lascio l'articolo e vado a leggermi l'Audisio. Qualche giorno dopo, però, vedo sull'Unità un lungo articolo di Giulio Ferroni sull'ultimo libro di Vassalli. Bene, mi dico. Perché mi interessa sapere cosa fa Vassalli. Malauguratamente, alcuni dei racconti che ha scritto sono sul rapporto tra gli uomini e l'automobile. Mentre leggevo la recensione sentivo che finivamo pericolosamente in area "Questa storia" (il mio ultimo romanzo, che parla anche di automobili). Con lo stato d'animo dell'agnello a Pasqua vado avanti temendo il peggio. E infatti, puntuale, quel che mi aspettavo arriva. Al termine di una lunghissima frase in cui si tessono (credo giustamente) elogi a Vassalli, arriva una bella parentesi. Neanche una frase, giusto una parentesi. Dice così: "Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell'ultimo Baricco!". E voilà. Con tanto di punto esclamativo.
Ora, nessuno è tenuto a saperlo, ma Citati e Ferroni sono, per il loro curriculum e per altre ragioni per me più imperscrutabili, due dei più alti e autorevoli critici letterari del nostro paese. Sono due mandarini della nostra cultura. Per la cronaca, Citati non ha mai recensito la mia "Iliade", e Ferroni non ha mai recensito "Questa storia". Il loro alto contributo critico sui miei due ultimi libri è racchiuso nelle due frasette che avete appena letto, seminate a infarcire articoli che non hanno niente a che vedere con me. È un modo di fare che conosco bene, e che è piuttosto diffuso, tra i mandarini. Si aggirano nel salotto letterario, incantando il loro uditorio con la raffinatezza delle loro chiacchiere, e poi, con un'aria un po' infastidita, lasciano cadere lì che lo champagne che stanno bevendo sa di piedi. Risatine complici dell'uditorio, deliziato. Io sarei lo champagne. Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non è vero. Mi ferisce poco la gomitata assestata a tradimento, ma mi offende molto il fatto che sia tutto ciò di cui sono capaci. Mi sorprende il loro sistematico sottrarsi al confronto aperto. La critica è il loro mestiere, santo iddio, che la facciano. Cosa sono queste battutine trasversali messe lì per raccogliere l'applauso ottuso dei fedelissimi? Vi fa schifo che uno adatti l'Iliade per una lettura pubblica e lo faccia in quel modo? Forse è il caso di dirlo in maniera un po' più argomentata e profonda, chissà che ci scappi una riflessione utile sul nostro rapporto con il passato, chissà che non vi balugini l'idea che una nuova civiltà sta arrivando, in cui l'uso del passato non avrà niente a che fare con il vostro collezionismo raffinato e inutile. E se trovate così stucchevole un libro che centinaia di migliaia di italiani si affrettano a leggere, e decine di paesi nel mondo si prendono la briga di tradurre, forse è il caso di darsi da fare per spiegare a tutta questa massa di fessi che si stanno sbagliando, e che la letteratura è un'altra cosa, e che a forza di dare ascolto a gente come me si finirà tutti in un mondo di illetterati dominati dal cinema e dalla televisione, un mondo in cui intelligenze come quelle di Citati e Ferroni faranno fatica a trovare uno stipendio per campare. Si dirà che è un diritto dei critici scegliersi i libri di cui scrivere. E che anche il silenzio è un giudizio. E' vero. Ma non è completamente vero. Lo so che per persone intelligenti e colte come Citati e Ferroni i miei libri stanno alla letteratura come il fast-food alla cucina francese, o come la pornografia all'erotismo. Per usare una frase di Vonnegut che mi fa sempre tanto ridere, mi sa che per loro i miei libri, nel loro piccolo, stanno facendo alla letteratura quello che l'Unione Sovietica ha fatto alla democrazia (non si riferiva a me, Vonnegut, che purtroppo non sa nemmeno che esisto). Ma quale arroganza intellettuale può indurre a pensare che non sia utile capire una degenerazione del genere, e magari spiegarla a chi non ha gli strumenti per comprenderla? Come si fa a non intuire che magari i miei libri sono poca cosa, ma lì i lettori ci trovano qualcosa che allude a un'idea differente di libro, di narrazione scritta, di emozione della lettura? Perché non provate a pensare che esattamente quello - una nuova, sgradevole, discutibile idea di piacere letterario - è il virus che è già in circolo nel sistema sanguigno dei lettori, e che magari molta gente avrebbe bisogno da voi che gli spiegaste cos'è questo impensabile che sta arrivando, e questa apparente apocalisse che li sta seducendo? Non sarà per caso che la riflessione nel campo aperto del futuro vi impaurisce, e che preferite raccogliere consensi declinando da maestri mappe di un vecchio mondo che ormai conosciamo a memoria, rifiutandovi di prendere atto che altri mondi sono stati scoperti, e la gente già ci sta vivendo? Se quei mondi vi fanno ribrezzo, e la migrazione massiccia verso di loro vi scandalizza, non sarebbe esattamente vostro degnissimo compito il dirlo? Ma dirlo con l'intelligenza e la sapienza che la gente vi riconosce, non con quelle battutine, please. Per quello che ne capisco, i miei libri saranno presto dimenticati, e andrà già bene se rimarrà qualche memoria di loro per i film che ci avranno girato su. Così va il mondo. E comunque, lo so, i grandi scrittori, oggi, sono altri. Ma ho abbastanza libri e lettori alle spalle per poter pretendere dalla critica la semplice osservanza di comportamenti civili. Lo dico nel modo più semplice e mite possibile: o avete il coraggio e la capacità di occuparvi seriamente dei miei libri o lasciateli perdere e tacete. Le battute da applauso non fanno fare una bella figura a me, ma neanche a voi. Ecco fatto. Quel che avevo da dire l'ho detto. Adesso vi dico cosa avrei dovuto fare, secondo il galateo perverso del mio mondo, invece che scrivere questo articolo. Avrei dovuto stare zitto (magari distraendomi un po' ripassando il mio estratto conto, come sempre mi suggerisce, in occasioni come queste, qualche giovane scrittore meno fortunato di me), e lasciar passare un po' di tempo. Poi un giorno, magari facendo un reportage su, che ne so, il Kansas, staccare lì una frasetta tipo "questi rettilinei nella pianura, interminabili e pallosi come un articolo di Citati". Il mio pubblico avrebbe gradito. Poi, un mesetto dopo, che so, andavo a vedere la finale di baseball negli Stati Uniti, e avrei sicuramente trovato il modo di chiosare, in margine, che lì si beve solo birra analcolica, "triste e inutile come una recensione di Ferroni". Risatine compiacenti. Pari e patta. E' così che si fa da noi. Pensate che animali siamo, noi intellettuali, e che raffinata lotta per la vita affrontiamo ogni giorno nella dorata giungla delle lettere... Purtroppo però non è andata così. Il fatto è che l'altro giorno ho visto il film su Truman Capote. Si impara sempre qualcosa spiando i veri grandi. Lui in quel film è così orrendo, spregevole, sbagliato, megalomane, imprudente, indifendibile. Mi ha ricordato una cosa, che talvolta insegno perfino a scuola, e che però mi ostino a dimenticare. Che il nostro mestiere è, innanzitutto, un fatto di passione, cieca, maleducata, aggressiva e vergognosa. Posa su una autostima delirante, e su un'incondizionata prevalenza del talento sulla ragionevolezza e sulle belle maniere. Se perdi quella prossimità al nocciolo sporco del tuo gesto, hai perso tutto. Scriverai solo cosette buone per una recensione di Ferroni (no, scherzo, davvero, è uno scherzo). Scriverai solo cosette che non faranno male a nessuno. Insomma è tutta colpa di quel film su Truman Capote. D'improvviso mi è sembrato così falso starmene lì, come una bella statuina, a prendere sberle dal primo che passa.
E' una cosa che non c'entra niente col mestiere che è il mio. Vedi, se me ne stavo a casa a vedere Lazio-Roma, oggi eravamo tutti più sereni e tranquilli. E penosi, of course.

(1 marzo 2006)