20 novembre 2006

Intervista a Baricco su WUZ.it

Alessandro Baricco: che cos'è oggi essere scrittore

Alessandro Baricco non ha bisogno di alcuna presentazione. Forse più di ogni altro autore italiano rappresenta la figura stessa dello scrittore, noto anche a chi non sia abituato a entrare in libreria.
L’aspetto piacevole e la presenza televisiva lo hanno reso davvero popolare tanto che spesso i suoi libri “fanno notizia”, ben prima di essere pubblicati o letti. Il successo di ogni romanzo, la rapida entrata nelle classifiche di vendita, l’aura un po’ misteriosa che circonda la sua persona fanno di Baricco appunto “un caso”: scrittore alla moda? Oppure semplicemente il più acuto interprete di una nuova tendenza che si è fatta strada nel mondo letterario?
Ecco come, in un incontro pubblico, lo scrittore torinese, fondatore della Scuola Holden, ha affrontato questo tema e il suo giudizio su che cosa rappresenti nella società contemporanea la letteratura.



il mestiere dello scrittore

Negli ultimi venti, venticinque anni il mestiere dello scrittore è molto cambiato perché è molto cambiato il campo da gioco in cui lui si trova ad esibirsi: quello che abbiamo ora non ha nessun paragone con quello che esisteva in Italia negli anni Cinquanta, Sessanta o Settanta ed è difficile riassumere che cosa sia successo nel frattempo.
Certamente tra il mestiere di scrittore che era incarnato da un grande come Fenoglio e quello che oggi si trova a vivere uno di noi, ci sono enormi differenze: si può semplificare tutto questo ricorrendo al termine “moda”, a me, però sembra una scorciatoia per non spiegare un fenomeno.


per entrare nel cuore del problema

È successo che il gesto di per sé complesso - ma poi alla fine molto semplice - di scrivere un libro e pubblicarlo oggi sia diventato un fatto molto più articolato: noi lavoriamo con un pubblico ampio che ha molte più possibilità di avvicinare lo scrittore, direttamente o indirettamente attraverso i media. Effettivamente – questo vale soprattutto per quelli più giovani di me, ma anche per la mia generazione – ci sono molti ambiti espressivi che un tempo non erano nemmeno previsti per uno scrittore: è risultato abbastanza naturale, se non istintivo, andare a visitare i nuovi territori che si aprivano tutt’intorno. Così lo scrittore va in televisione, scrive articoli per i giornali, recita in teatro. O collabora con altri mestieri espressivi: scrive fumetti e sceneggiature, lavora per la televisione… Insomma il suo habitat si è moltiplicato nel giro di pochissimi anni. Il rapporto tra chi scrive libri e il mondo, la gente, diventa assai più articolato, ricco, di quanto fosse in passato per cui si sovrappongono la figura squisita dell’uomo che scrive solitario nel suo studiolo che è possibile vedere un paio di volte, magari a ritirare un premio, a un tipo di personaggio che in realtà ha molte facce, che si moltiplica. E il lettore ha imparato nel tempo ad avere a che fare con tutte queste facce e poi a provare ad incrociarle, a cercare di capire se quello che lo scrittore fa in televisione ha a che fare con quello che scrive: è un inizio di riflessione.


le sue e le altrui scelte

Tutto questo rappresenta qualcosa di nuovo, non avevamo dei maestri in questo tipo di tecnica di sopravvivenza; quando io ho iniziato a scrivere, all’inizio degli anni ’90, eravamo agli albori di questo fenomeno, ma erano proprio briciole, non avevamo dei modelli e abbiamo dovuto inventare come abitare quel nuovo paesaggio, ciascuno cercando la propria via a seconda dei talenti, dei gusti personali e ognuno, con molta serietà, con passione e divertimento, facendo quello che gli sembrava naturale fare. Ad esempio Benni (che è uno dei più vecchi) non va mai in televisione, ma sale sui palcoscenici a leggere i suoi testi. Io non vado mai sui palcoscenici a leggere le mie cose, sono stato in televisione, non ci vado più, ma ci sono stato – Busi va in televisione con la veletta, la Santacroce si fa fotografare con le autoreggenti, Lucarelli è come se facesse evaporare la sua passione per l’intrigo in un lavoro sulla realtà e lo fa scegliendo la televisione, molti sono presenti nei modi più diversi sui giornali, c’è chi canta, ci sono spettacoli di poesia, performance… Ho sentito Erri De Luca cantare Monte Canino, bellissimo! Lui e Paolini con Brunello che suonava il violoncello. Siamo così. Poi rilasciamo interviste… è un modo di abitare il mondo che si è spalancato intorno a noi. Naturalmente in questo molti di noi possono anche sbagliare, non è semplice. Oltretutto quando fai tutte queste cose, tutto ritorna: se vai in televisione con la veletta e ti vedono in molti, comprando il tuo libro cercheranno “una veletta” da qualche parte. Non sono comparti indipendenti e impermeabili, tutto si mette a reagire in maniera maledettamente incasinata e il fatto che poi la maggior parte di noi riesca a continuare in questo gesto molto solitario, molto duro, che è lo scrivere dà il senso della forza, della solidità di quelli che nel nostro paese fanno questo mestiere. Li si possono vedere in tutti i modi, ma alla fine escono dei libri, più o meno belli…



e i lettori? un'interpretazione "baricchiana"


C’è un modo di leggere tutto questo e cioè che c’importa solo del mercato, che facciamo solo pubblicità, che ormai la costruzione dell’immagine ha prevalso sulla vocazione letteraria e intellettuale – l’espressione “scrittore alla moda” sintetizza un po’ questa lettura, che è sicuramente lecita, anche se sottovaluta la bellezza del problema e la sua complessità e quindi non rende giustizia a quello che accade. Non parlo di me in particolare, ma di tutti coloro che fanno questo mestiere, che proprio per queste ragioni è diventato molto difficile per i giovani perché un ragazzo che oggi ha 23, 25 anni, e vuole scrivere libri, sa già quello che lo aspetta. Quando io ho iniziato invece non lo credevo, pensavo che avrei scritto solo libri, non avevo capito che sarebbe capitato tutto questo e quando mi sono trovato in mezzo a queste nuove forme di comunicazione, ho cercato di non sbagliare. Un ragazzo oggi, come quelli che vengono a scuola da me e hanno l’ambizione di scrivere, sa cosa lo aspetta. Oggi il talento dello scrittore davvero sta diventando un talento multiforme.
La legittimità di un libro nasce dal fatto che uno ha avuto le palle per scriverlo e il talento per andare fino in fondo. È vero che uno può fare solo quello e non è necessario che faccia altro. A noi tutti è risultato naturale invece utilizzare le nuove forme che avevamo a disposizione per prolungare un possibile dialogo con il pubblico, e con il proprio talento. Con questo non voglio dire che per essere legittimati come scrittori bisogna andare in televisione, per carità!


Baricco ha scritto e pubblicato un articolo intitolato “Per favore stroncatemi”: il dietro le quinte di questa provocazione…

Il titolo del mio articolo era “per favore stroncatemi” o qualcosa del genere, ma, non era una questione di legittimazione, quanto un problema di galateo, come quelli che buttano le bottiglie per strada, che non chiudono la porta quando escono…era una questione di galateo minimo. Volevo solo dire, e l’ho detto, che è ineducato e offensivo e profondamente triste che intelligenze poco famose o famosissime, mediocri o molto alte, pensino di fare i conti con alcune cose che accadono nel mondo di oggi nella forma della battutina altezzosa, di passaggio, facendo altro: un modo di non riconoscere, di negare. Io in genere mi sveglio al mattino e cerco di fare il possibile perché il mondo, la sera quando vado a dormire, sia più dignitoso. Non ho detto “per favore stroncatemi”, perché non sono così masochista, ma ho detto “se volete occuparvi di qualcosa, fatelo seriamente, leggete e scrivete, se no non ve ne occupate”. È una richiesta minima, una cosa di galateo minimo. Questo articolo ha avuto una grande solidarietà da parte di gente che non c’entra niente col mondo dei libri, commercialisti, dentisti, medici, architetti… perché è un fenomeno generalizzato, è un’abitudine che conosciamo, e non è solo del nostro paese. Ho voluto dire (sarebbe stato meglio poterlo fare in un confronto vero): se davvero pensate che quello che io scrivo sia spazzatura, va bene, ma volete magari dedicare una volta un saggio un minimo impegnato, serio, per spiegare a tutti i lettori che ho nel mondo che è spazzatura: questo è utile; bisogna farlo e adesso l’hanno fatto.


Qualche riflessione su lettura e lettori, partendo dagli articoli apparsi su La Repubblica, “I barbari”

“La maggior parte di quelli che oggi comprano i libri, non sono lettori”: detta così sembra la solita litania del reazionario che scuote la testa e disapprova, in pratica la traduzione dello slogan “la gente non legge più” ma, se si guarda la cosa con intelligenza, in quel concetto è nascosta una delle mosse che costruiscono la genialità dei barbari, la loro bizzarra idea di qualità.
Provo a spiegare meglio partendo dall’indizio più evidente e volgare: se si guarda una classifica di vendite vi si trova un numero incredibile di libri che non esisterebbero se non partissero, per così dire, da un punto esterno al mondo dei libri: romanzi da cui hanno fatto un film o scritti da personaggi televisivi, racconti buttati giù da gente in qualche modo famosa che racconta storie già dette altrove o spiega fatti già accaduti in un altro momento e in un’altra forma. Naturalmente la cosa infastidisce e dà quella sensazione diffusa di spazzatura imperante, ma è anche vero che lì, nella sua forma più volgare, crepita un principio che invece volgare non è: l’idea che il valore del libro stia nel suo offrirsi come tessera di un’esperienza più ampia, come segmento di una sequenza che è partita altrove e che, magari, finirà altrove.


chi legge e come sceglie i libri

Il discorso è molto complicato: noi oggi abbiamo un mercato molto più ampio, i numeri sono maggiori di un tempo, perché il mondo è più grande. Poi c’è da capire, se può interessare, il perché si sia ingrandito così.
Una delle cose che io credo di riconoscere è il fatto che, mentre in passato leggeva colui che aveva una passione per la lettura di un libro (rapporto uno a uno: io becco giusto lui che vuole me), quindi lettori forti che hanno quella passione, oggi quelli che comprano libri sono soprattutto persone che transitano attraverso i libri, cioè che hanno numerose passioni e un modo piuttosto articolato di cercare l’emozione, l’informazione o l’approfondimento e che, tendenzialmente, interpretano il libro come una delle varie tessere che gli stanno raccontando il mondo. Quando riescono a trovare un’effettiva comunicazione tra le diverse tessere, trovano maggiore forza in quello che ascoltano, in quello che leggono e quindi tendono a prediligere il libro che invece che essere testimone di una civiltà precisa e chiusa, la civiltà letteraria, in qualche modo contiene in sé un dna più complesso che partecipa di diverse civiltà, non solo di quella letteraria: in quel tipo di libro l’uomo di oggi si trova più a suo agio. Continua a esserci una tribù di persone che amano il libro, la letteratura e che cerca quel tipo di prodotto e gli interessa solo quello. Sono abbastanza pochi, ma intorno a loro si è formata una grande tribù di persone che transitano volentieri attraverso i libri. Nel modo più volgare, nel modo che possiamo anche considerare più misero, e forse lo è anche, vedono alla televisione Vespa, e piace, e quando Vespa decide di raccontare ad esempio il Risorgimento, comprano il libro. Sono lettori questi? Sì, comprano il libro e lo leggono, ma sono lettori nel senso stretto? No, sono un “animale” particolare. E così tutti quelli che hanno comprato i miei libri perché mi avevano visto in televisione; prima molti di loro compravano pochissimi libri. Sono non lettori: vedono uno in televisione che gli racconta qualcosa, si fidano di lui, passa in qualche modo un libro sotto il loro naso e lo prendono. Magari però è la porta per scoprire il piacere della lettura, è un modo per mettere in connessione differenti punti del mondo, finiscono in altri libri; alle volte si scatena tutto questo, alle volte non si scatena niente, hanno comprato il mio libro e finisce lì. Capita di fare un percorso: a me è successo di comprare un libro perché avevo letto una risposta a una domanda in un’intervista su un rotocalco femminile, ma c’era qualcosa che mi aveva colpito e quando mi è passato il libro sottomano l’ho preso. Non la risolvete come se fosse tutta pubblicità, se facessimo lo spot di noi stessi e ci vendessimo: non è così, è una cosa più intelligente e più complessa. È il fatto che la gente abita in un mondo a rete, a sequenze, a stop. Questo a un livello più alto, più sofisticato, ci può aiutare a capire perché all’interno dei libri di qualità ci sia un pubblico più vasto che va verso alcuni di questi, mentre continua ad esserci un pubblico molto esiguo che va verso altri. Quello che possiamo immaginare è che effettivamente, all’interno dei libri più sofisticati, anche più difficili se vogliamo, di qualità, ce ne sono alcuni che si prestano meglio di altri a entrare in sequenza con altre esperienze di quelli che li leggono. E sono amati per questo, non hanno un rapporto esclusivo con una civiltà, quella letteraria, ma sembrano essere, e forse lo sono (in alcuni casi lo sono sicuramente), in rapporto con una rete di civiltà; la gente trova prezioso questo e va incontro a queste scelte.



le classifiche di vendita offrono spesso spazzatura? No, dice Baricco, ma libri provengono da altre forme di comunicazione


I libri in testa alle classifiche non sono solo spazzatura, ma non si può far finta di non notare che nei primi quindici posti, dieci sono occupati da volumi che iniziano da un punto che è diverso dal libro: l’ha scritto il comico, il cantante, il sindaco, quella è la sceneggiatura…è volgare non tanto perché questo succede, ma perché è un meccanismo molto semplice. Quando io vedo Il nome della Rosa venduto a tonnellate nell’intero pianeta so che il meccanismo è lo stesso, funziona a un livello più elaborato, ma quel libro è in classifica per ragioni molto analoghe.


anche i suoi libri, in fondo, utilizzano lo stesso impulso all’acquisto da parte del lettore, ma non basta andare in televisione per vendere

Motivare il fatto che vado in testa alle classifiche perché i miei libri sono spazzatura, mi sembra un’argomentazione debole, allo stesso modo non occuparsi dei miei libri che vanno in classifica mi sembra una cosa strana, così come occuparsene male, di malavoglia… detto questo c’è da capire: certo che i miei libri vendono perché sono di Alessandro Baricco! Ma io ho scritto anche un primo libro e allora nessuno conosceva il mio nome. Uno compra un libro di un autore poi, se non gli piace, non ne compra un secondo: non basta andare in televisione per vendere libri, non è così meccanico. C’è un’espressione di Valery che amo molto – lui parla di occhio, mano e anima come i tre ingredienti che rientrano nel lavoro dell’artigiano, ma si addice perfettamente anche al lavoro dello scrittore. Credo che le cose vadano bene quando queste tre cose sono una cosa sola: c’è uno strano momento, che può anche essere molto lungo, in cui queste sono un unico gesto e io cerco di non iniziare a scrivere finché non ho ottenuto questo momento magico.



Novecento, un protagonista particolare, un film e uno spettacolo teatrale: pagina, palcoscenico e schermo


Il protagonista arrivando a New York racconta le sue emozioni. Parla ed è uno dei difetti di Novecento: se l’avessi scritto dieci anni dopo, gli avrei fatto dire molto meno. Allora volevo mettere in un personaggio questo pensiero che hanno molti, la sensazione che in fondo, forse, vivere è un gesto difficile che è possibile fare solo se ci sono dei contorni, ma si è contenti solo se si apre per noi un mare di possibilità. Novecento è una storia che forse racconta questo: quanto è difficile per gli umani stare in bilico tra limite e infinito, fra desideri e possibilità reali.
Quando chi crea immagini è di talento aggiunge qualcosa e toglie anche molto: ma se funziona, anche per te che l’hai scritto, l’immagine ha la sua importanza.
Di Novecento abbiamo fatto due spettacoli: uno con Eugenio Allegri che aveva allora 35 anni e uno con Arnoldo Foà che ne aveva 86. Erano due storie molto differenti: con Allegri fino ad un certo punto si rideva moltissimo e poi si piangeva, in quello di Foà ridevi molto, ma solo “dentro”. In questo spettacolo c’era questo vecchio che raccontava ed era molto intenso e vero, mentre se uno di 35 anni racconta tutta una vita, è proprio un artificio teatrale.
In teatro ci sono alcuni pezzi che hai scritto che improvvisamente si moltiplicano, si complicano; c’è tutto, ma le potenzialità espresse sono veramente tante e questo è uno dei piaceri nel vedere le tue cose che si articolano in molti posti.


diversi stili, diverse forme di comunicazione: uno scrittore che continuamente sperimenta


Quando finisco di scrivere un libro, mi cresce la voglia di scrivere una cosa diversa. Il caso eclatante è l’aver scritto City dopo Seta: raggiungi il successo con un libro come Seta e dopo mi è venuta voglia di scrivere un libro compressissimo, contemporaneo, praticamente illeggibile…perché in quel momento mi attraeva l’idea della complicazione invece della semplicità, la non linearità della narrazione, il libro grosso rispetto al libro piccolo, la contemporaneità rispetto a quel mondo ottocentesco… già quando scrivevo Seta non ne potevo più di Seta! Non c’è una poetica particolare: semplicemente non riesco a scrivere un libro se non ha dentro una sfida che mi piace davvero, che mi dà energia e spesso il fare una cosa differente da quella che fatta prima può farlo.



la Scuola Holden, l’esperienza di docente e il “peso” del successo


La mia in realtà non è una scuola di scrittura, ma una scuola di narrazione e agli allievi insegniamo a narrare, poi loro da lì possono diventare scrittori, giornalisti, sceneggiatori, pubblicitari… Ciò che hanno in comune tutti questi mestieri è la matrice della narrazione. Io poi, di volta in volta, non riesco a insegnare sempre la stessa cosa, ma mi scelgo una materia diversa ogni anno, ma cerco sempre di insegnare il rispetto per quel gesto, per il narrare: che lo prendano sul serio, si divertano, ma che abbiano anche un particolare modo di stare al mondo, dandogli a volte le spalle e sono molto contento quando vedo che alcuni allievi sanno stare “dentro” al mestiere che hanno scelto di fare. Sono convinto di non essere influenzato minimamente dalla pressione del mercato quando scrivo. Se si ha un talento, il gesto che è legato a questo talento, che sta al fondo dell’azione, è comunque autistico. Il cuore di quest’esperienza è in un certo senso un tratto malato: c’è una forza obiettiva di questo gesto che ti porta via dal potere d’influenza di tutto il mondo, i critici, i modelli… è un momento che obiettivamente ti risucchia via. È pur vero che poi ti chiedi se piacerà, ma solo dopo.


L'incontro con Alessandro Baricco, introdotto da Stefano Salis, si è tenuto a Festivaletteratura di Mantova.




Grazia Casagrande
2 novembre 2006

Baricco in diretta su Repubblica TV

Alessandro Baricco in diretta su La Repubblica TV parla dei suoi Barbari, la cui raccolta sarà in edicola con Repubblica a partire dal 21 novembre.


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