17 maggio 2006

Baricco e i Barbari - nuove puntate

Le nuove puntate del viaggio di baricco nel mondondei barbari sono appena state pubblicate su La Repubblica:

Capitolo 2
Capitolo 3

I lettori possono partecipare all'iniziativa rispondendo a varie domande:
domande #1
domande #2

Le risposte verranno pubblicate qui e qui


Buona lettura :)

12 maggio 2006

Baricco riscrive il Flauto Magico

Per tutto il mese di dicembre il Teatro Regio di Torino metterà in scena una nuova produzione del capolavoro di Mozart "Il flasuto magico", per il quale Alessandro Baricco ha creato un impianto drammaturgico originale scrivendo ex novo tutti i dialoghi in prosa.
Per maggiori informazioni:
Sito web: Teatro Regio
Tel.: 011.8815.557
Tel. Biglietteria:011.8815.241/242.

Viaggio di Baricco alla ricerca dei nuovi Barbari

L'autore scrive un libro a puntate sul giornale "in mezzo alle frattaglie di mondo che quotidianamente passano da lì". E su www.repubblica.it si può seguire il suo lavoro, e scrivere a ibarbari@repubblica.it
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Viaggio alla ricerca dei nuovi barbari
di ALESSANDRO BARICCO


NON sembra, ma questo è un libro. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto scriverne uno, a puntate, sul giornale, in mezzo alle frattaglie di mondo che quotidianamente passano da lì. Mi attirava la fragilità della cosa: è come scrivere allo scoperto, in piedi su un torrione, tutti che ti guardano e il vento che tira, tutti che passano, pieni di cose da fare. E tu lì senza poter correggere, tornare indietro, ridisegnare la scaletta. Come viene, viene. E, il giorno dopo, involtolare insalata, o diventare il cappello di un imbianchino. Ammesso che se li facciano ancora, i cappelli, col giornale - come barchette sul litorale delle loro facce.

Ogni tanto, e mica solo nel lavoro, ci si va a cercare una qualche indigenza. Ed è probabilmente un modo di recuperare una qualche autenticità.

Comunque non vorrei creare false aspettative, quindi chiarisco che non è un romanzo. Il romanzo a puntate, quello non mi attira per niente. Per cui sarà un saggio, nel senso letterale del termine, cioè un tentativo: di pensare: scrivendo. Ci sono alcune cose che mi va di capire, a proposito di quel che sta succedendo qui intorno. Per "qui intorno" intendo la sottilissima porzione di mondo in cui mi muovo io: persone che hanno studiato, persone che stanno studiando, narratori, gente di spettacolo, intellettuali, cose così. Un mondaccio, per molti versi, ma alla fine è lì che le idee pascolano, ed è lì che sono stato seminato.

Dal resto del mondo ho perso contatto un sacco di tempo fa, e non è bello, ma è vero. Si fa un sacco di fatica a capire la propria zolla di terra, non resta molto per capire il resto del campo.

Ma forse in ogni zolla, a saperla leggere, c'è il campo intero.

E comunque, dicevo che c'è qualcosa, lì, che mi andrebbe di capire. Prima pensavo di intitolarlo così, il libro: La mutazione. Solo che non mi è riuscito di trovare nessuno a cui, anche solo vagamente, piacesse. Pazienza. Però era un titolo puntuale. Voglio dire che quella è precisamente la cosa che mi piacerebbe capire: in cosa consiste la mutazione che vedo intorno a me.

Dovendo riassumere, direi questo: tutti a sentire, nell'aria, un'incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari. Vedo menti raffinate scrutare l'arrivo dell'invasione con gli occhi fissi nell'orizzonte della televisione.

Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato
dietro il passaggio di un'orda che, in effetti, nessuno però è riuscito a vedere. E intorno a quel che si
scrive o immagina aleggia lo sguardo smarrito di esegeti che, sgomenti, raccontano una terra saccheggiata da predatori senza cultura né storia.

I barbari, eccoli qua.

Ora: nel mio mondo scarseggia l'onestà intellettuale, ma non l'intelligenza.

Non sono tutti ammattiti. Vedono qualcosa che c'è. Ma quel che c'è, io non riesco a guardarlo con quegli occhi lì. Qualcosa non mi torna.

Potrebbe essere, me ne rendo conto, il normale duello fra generazioni, i vecchi che resistono all'invasione dei più giovani, il potere costituito che difende le sue posizioni accusando le forze emergenti di barbarie,
e tutte quelle cose che sono sempre successe e abbiamo visto mille volte.

Ma questa volta sembra diverso. E' così profondo, il duello, da sembrare diverso. Di solito si lotta per controllare i nodi strategici della mappa. Ma qui, più radicalmente, sembra che gli aggressori facciano qualcosa di molto più profondo: stanno cambiando
la mappa. Forse l'hanno perfino già cambiata. Dovette succedere così negli anni benedetti in cui, per esempio, nacque l'illuminismo, o nei giorni in cui il mondo tutto si scoprì, d'improvviso, romantico. Non erano spostamenti di truppe, e nemmeno figli che uccidevano padri. Erano dei mutanti, che sostituivano un paesaggio a un altro e lì fondavano il loro habitat.

Forse è un momento di quelli. E quelli che chiamiamo barbari sono una specie nuova, che ha le branchie dietro alle orecchie e ha deciso di vivere sott'acqua. Ovvio che da fuori, noi, coi nostri polmoncini, ne caviamo l'impressione di un'apocalisse imminente. Dove quelli respirano, noi moriamo. E quando vediamo i nostri figli guardare vogliosi l'acqua, temiamo per loro, e ciecamente ci scagliamo contro ciò che solamente riusciamo a vedere, cioè l'ombra di un'orda barbarica in arrivo. Intanto, i suddetti figli, sotto le nostre ali, già respirano da schifo, grattandosi dietro le orecchie, come se ci fosse qualcosa, là, da liberare.

È lì che mi vien voglia di capire. Non so, forse c'entra anche questa curiosa asma che mi prende sempre più spesso, e la strana inclinazione a nuotare a lungo sott'acqua, fino a quando proprio non trovo in me branchie pronte a salvarmi.

Comunque. Mi piacerebbe guardare quelle branchie da vicino. E studiare l'animale che si sta ritirando dalla terra, e sta diventando pesce. Vorrei spiare la mutazione, non per spiegarne l'origine (questo è fuori portata) ma per riuscire anche lontanamente a disegnarla. Come un naturalista d'altri tempi che disegna sul taccuino la nuova specie scoperta nell'isolotto australiano. Oggi ho aperto il taccuino.

Non ci capite niente? Ovvio, il libro non è ancora nemmeno iniziato.

È un viaggio per viandanti pazienti, un libro.

Spesso i libri iniziano con un rito che io amo molto, e che consiste nello scegliere un'epigrafe. È quel tipo di
frasetta o citazione che si mette nella prima pagina, giusto dopo il titolo e l'eventuale dedica, e che serve da viatico, da benedizione. Per dire, ecco l'epigrafe di un libro di Paul Auster:

"L'uomo non ha una sola e identica vita; ne ha molte giustapposte, ed è la sua miseria". (Chateaubriand)

Spesso suonano così: qualsiasi boiata dicano, tu ci credi. Apodittiche, per dirla nella lingua di quelli che respirano con i polmoni.

A me piacciono quelle che tracciano i bordi del campo. Cioè ti fanno capire più o meno in che campo quel libro va a giocare. Il grande Melville, quando si trattò
di scegliere l'epigrafe per Moby Dick, si lasciò un po' prendere la mano, e finì per selezionare 40 citazioni. Ecco la prima:

"E Dio creò le grandi balene." (Genesi)

Ed ecco l'ultima:
"Oh la Balenda grande e fiera, / tra il vento e la bufera, / oh il gigante che sadominare l'infinito mare!" / (Canzone baleniera).

Credo che fosse un modo di far capire che in quel libro ci sarebbe stato il mondo intero, da Dio alle scoregge dei marinai di Nantucket. O quanto meno, questo era il programmino di Melville.

Anima candida!, direbbe Vonnegut, con il punto esclamativo.

Così, per questo libro, io avrei scelto quattro epigrafi. Giusto per segnare i bordi del campo da gioco. Ecco la prima: viene da un bellissimo libro uscito da poco
in Italia (ed. il Mulino). L'ha scritto Wolfgang Schivelbush ed è intitolato La cultura dei vinti. (Sono titoli a cui, essendo tifoso del Toro, non posso resistere). Ecco cosa dice a un certo punto:

"Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo nei quali pascolano le greggi sono ricorrenti nella letteratura della decadenza
dall'antichità fino ai giorni nostri".

Copiate e mettete da parte.

Seconda epigrafe: la seconda epigrafe la trovate nella prossima puntata.

Che vento che tira, su 'sto torrione.
(1. continua)